LA STORIA

Foto di Marco Scorsino

Civita è una frazione del comune di Bagnoregio, in provincia di Viterbo, nel Lazio, facente parte dei borghi più belli d’Italia, famosa per essere denominata “La città che muore“.

Abitata da una decina di persone e situata in posizione isolata, è raggiungibile solo attraverso un ponte pedonale in cemento armato costruito nel 1965[1]. Il ponte può essere percorso soltanto a piedi, ma recentemente ilcomune di Bagnoregio, venendo incontro alle esigenze di chi vive o lavora in questo luogo, ha emesso una circolare in cui dichiara che, in determinati orari, residenti e persone autorizzate possono attraversare il ponte a bordo di cicli e motocicli. La causa del suo isolamento è la progressiva erosione della collina e della vallata circostante, che ha dato vita alle tipiche forme dei calanchi e che continua ancora oggi, rischiando di far scomparire la frazione, per questo chiamata anche “la città che muore” o, più raramente, “il paese che muore”.

Civita venne fondata 2500 anni fa dagli Etruschi. Sorge su una delle più antiche vie d’Italia, congiungente il Tevere (allora grande via di navigazione dell’Italia Centrale) e il lago di Bolsena.

All’antico abitato di Civita si accedeva mediante cinque porte, mentre oggi la porta detta di Santa Maria o della Cava, costituisce l’unico accesso al paese. La struttura urbanistica dell’intero abitato è di origine etrusca, costituita da cardi e decumani secondo l’uso etrusco e poi romano, mentre l’intero rivestimento architettonico risulta medioevale e rinascimentale. Numerose sono le testimonianze della fase etrusca di Civita, specialmente nella zona detta di San Francesco vecchio; infatti nella rupe sottostante il belvedere di San Francesco vecchio è stata ritrovata una piccola necropoli etrusca. Anche la grotta di San Bonaventura, nella quale si dice che San Francesco risanò il piccolo Giovanni Fidanza, che divenne poi San Bonaventura, è in realtà una tomba a camera etrusca. Gli etruschi fecero di Civita (di cui non conosciamo l’antico nome) una fiorente città, favorita dalla posizione strategica per il commercio, grazie alla vicinanza con le più importanti vie di comunicazione del tempo.

Del periodo etrusco rimangono molte testimonianze: di particolare suggestione è il cosiddetto “Bucaione”, un profondo tunnel che incide la parte più bassa dell’abitato, e che permette l’accesso, direttamente dal paese, alla Valle dei Calanchi. In passato erano inoltre visibili molte tombe a camera, scavate alla base della rupe di Civita e delle altre pareti di tufo limitrofe che purtroppo furono in gran parte fagocitate, nei secoli, dalle innumerevoli frane. Del resto, già gli stessi Etruschi dovettero far fronte ai problemi di sismicità e di instabilità dell’area, che nel 280 a.C. si concretarono in scosse telluriche e smottamenti. All’arrivo dei romani, nel 265 a.C., furono riprese le imponenti opere di canalizzazione delle acque piovane e di contenimento dei torrenti avviate dagli etruschi.

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Civita di Bagnoregio: il paese che muore nel cuore del Lazio

Un piccolo gioiello di architettura etrusca immerso in un’atmosfera altra, lontana dal tempo, un mucchietto di case che dall’alto della loro privilegiata posizione godono dello spettacolo naturale che le circonda e che, purtroppo, ha anche contribuito anche a rendere famosa questa piccola città con il nome di “città che muore”. 

Situata in provincia di Viterbo, nei pressi del lago di Bolsena e del confine umbro, Civita di Bagnoregio è ad oggi uno tra i borghi più antichi e più belli d’Italia. E forse proprio questa sua precarietà, il suo lento spegnersi davanti ai nostri occhi hanno contribuito a renderla tanto bella e affascinante.

 Civita si erge su un colle situato nella valle dei calanchi, un’area morfologicamente soggetta a continue erosioni e frane, un terreno precario che negli anni sta contribuendo a un progressivo assottigliamento di quello sperone sopra il quale sorge il borgo e che in futuro causerà la scomparsa della stessa Civita. Motivo in più questo per visitare almeno una volta questo piccolo capolavoro urbano.

 L’accesso al borgo è consentito solo da un lungo ponte pedonale – è possibile lasciare la macchina in un parcheggio non troppo lontano dall’ingresso – e il costo per accedervi è di 1,50 €. Appena prima di percorrere la strada che conduce al ponte, concedetevi una sosta nella piazzola panoramica dalla quale potrete ammirare da lontano il borgo che si erge sulla valle e scattare qualche foto di questo magnifico paesaggio.

 I lettori della Divina Commedia avranno riconosciuto forse nella città un nome familiare, Bagnoregio; e infatti è proprio in questo borgo che nacque il San Bonaventura da Bagnoregio di cui Dante ci parla nel dodicesimo canto del Paradiso. A Civita potrete visitare una grotta intitolata a suo nome, una tomba etrusca nella quale si racconta che San Francesco, durante un viaggio di predicazione, curò miracolosamente l’allora giovinetto Bonaventura.

 Appena entrati, coglierete subito la sensazione di un’atmosfera atemporale, di una dimensione lontana nello spazio. Ad accogliervi, le silenziose e pittoresche stradine del borgo, un labirinto di mura, finestre e rocce di tufo che ad ogni passo vi sapranno regalare scorci sempre nuovi, immagini da cartolina. L’assenza di auto e moto all’interno del paese renderà ancora più rilassante la vostra passeggiata, cullata dai rumori del vento e della natura che circonda la collina.

 E non potranno che essere felici di girovagare per la città gli amanti dei gatti: molti infatti sono i mici che vivono a Civita e che da diversi anni animano le strade e i muretti del borgo. Affettuosi e socievoli, sono abituati alla presenza dei turisti e ormai hanno superato in numero anche gli stessi abitanti: ad oggi infatti si contano appena dieci residenti a Civita di Bagnoregio, più poche altre persone che si recano nel paesino per lavoro.

Nonostante le dimensioni contenute, Civita ospita anche diversi ristoranti tra i quali poter scegliere per degustare – soprattutto ma non solo – piatti locali: tra questi, affettati e formaggi, primi a base di salsiccia e tartufo, cinghiale e funghi porcini. Da bere, una ricca selezione di vini in bottiglia delle colline vicine, qualche etichetta da Orvieto e Viterbo.

 Questa una breve introduzione alla visita della città: per ogni altra curiosità su alloggi, ristoranti e attrazioni vi rimando al sito ufficiale di Civita di Bagnoregio.

 Concludo invece con la frase di Bonaventura Tecchi, lo scrittore di Bagnoregio che per primo ha assegnato il triste soprannome a questo splendido paesino minacciato dalla fine, ma che ancora non si è arreso: 

 “La fiaba del paese che muore – del paese che sta attaccato alla vita in mezzo a un coro lunare di calanchi silenziosi e splendenti, e ha dietro le spalle la catena dei monti azzurri dell’Umbria – durerà ancora”.

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       di Elasia Viviano

denti

 

 

Quando le giubbe rosse garibaldine caddero a Bagnorea

La battaglia di Mentana del 1867, vede uno spaccato di drammatico lirismo riservato alla cittadina di Bagnorea. Nel faticoso percorso di conquista del senso identitario dell’italianità, Bagnoregio visse il dramma dell’occupazione garibaldina con la catastrofica ripercussione della violenza delle truppe pontificie e francesi.

Viterbo nell’allora tentativo di unità nazionale, rappresentava una sorta di quartier generale per le colonne garibaldine affidate al comando del generale Giovanni Acerbi, deputato al tribunale di Firenze. Bagnoregio avrebbe dovuto rappresentare un binario diretto verso Roma, partendo da Orvieto che era stata acquisita al Regno d’Italia. Da Orvieto muovevano Giacomo Galliano, detto “il guercio toscano” e Girolamo Corseri di Castiglione in Teverina. Il territorio di marcia era il bosco di Carbonara dove correva il confine tra Bagnoregio e Viterbo.

Dopo gli iniziali successi dei garibaldini presso Grotte Santo Stefano, Soriano, Bomarzo, il tricolore venne innalzato anche a Caprarola e Carbognano, dove le poche truppe guelfe vennero sbaragliate e costrette a piegarsi alla causa dell’Unità Nazionale. Il sogno dell’Italia Unita incontrerà una battuta d’arresto proprio a Bagnoregio e la causa sarà da imputarsi proprio ai bagnoresi.
Quest’ultimi infatti non credettero fino in fondo nella causa garibaldina, e questa diede troppo per scontato l’appoggio dei paesani.
La strategia garibaldina si fondava sull’effetto sorpresa, rappresentato da un rapido assalto di una guarnigione di giubbe rosse al convento di San Francesco, del tutto indifeso per poi dilagare in tutto il paese. Se all’inizio la città cedette sotto l’incalzare della guerriglia garibaldina, che riuscì anche a innalzare il tricolore, coi giorni a seguire la popolazione assunse un atteggiamento passivo e distaccato di diffidente freddezza. L’errore fu di sopravvalutare l’informazione e il coinvolgimento degli abitanti di Bagnoregio, che non capirono la portanza storica di ciò che stava avvenendo. Questo non venne vissuto solo a Bagnoregio, né solo nella battaglia di Mentana, ma in tutto il processo di Unità nazionale, cominciato con i deliri intellettuali di Mazzini e dei primi Carbonari.

Gli eventi laziali della battaglia di Mentana culmineranno, così, il 5 ottobre 1867, nella disfatta di Bagnorea.
La battaglia venne combattuta tra Poggio Scio ( zona cimitero) e San Francesco, dove le truppe pontificie respingeranno i garibaldini. Quello che ancora oggi fa male della sconfitta di Bagnorea è che le giubbe rosse vennero viste dai bagnoresi non come gli uomini che volevano fare l’Italia, ma come degli invasori che volevano sconvolgere l’ordine.
Ed è proprio a tal proposito che a Bagnoregio erge in via divino amore presso il Parco della Rimembranza “Il Sacrario Garibaldino” , meglio conosciuto come “la piramide” , esso è un ossario dove sono raccolti i resti dei garibaldini che si scontrarono con le truppe pontificie nell’ottobre del 1867. La lapide murata su una delle facce riporta i nomi dei tredici caduti , il monumento venne inaugurato nel 1891.

Vale sicuramente la pena ricordare le parole del Guerrazzi, intellettuale illuminato e parlamentare italiano al Governo del 1861. Accanito oppositore della blanda politica del conte Cavour, responsabile della cessione di Nizza e della Savoia, così scrisse sulla piramide-ossario dei Caduti garibaldini:

“Correndo l’anno di Cristo 1867, il giorno 29 settembre, noi,  anche noi martiri d’Italia, in Bagnorea, iniziammo la guerra pel riscatto di Roma. Sette dì combattemmo. Al settimo, il 5 ottobre, abbandonati da tutti, sopraffatti dal numero, perimmo. Rabbia…le reliquie nostre disperse. Religione patria le raccolse e qui le compose, dove attestano ai presenti e ai posteri, il popolo unico eroe d’Italia, avere tracciato il cammino di Roma, al popolo italiano col proprio sangue. […] Dal vostro martirio, sta per nascere quello della gloria, Sperate.”
Queste parole cariche di sentimento, lasciano trasparire un fiero rimpianto per una sconfitta spietata.